Tratto da: IL DISEGNO INDUSTRIALE E LA SUA ESTETICA – Capitolo 5
Una delle ipotesi estetiche più comunemente accettate è quella che postula una identità stilistica tra opere d’ arte d’ una determinata epoca; persino tra quelle arti tra di loro assai distinte ( musica, achitettura, poesia ), e, tanto più per quelle appartenenti ad una stessa categoria ” sensoriale ” come le arti visuali.
E’, forse soltanto ai nostri giorni, che si può assistere ad una certa sfasatura a questo proposito, sfasatura indubbiamente derivata dall’ avvento dei mezzi meccanici.
Questi da un lato hanno stimolato ed esaltato il processo creativo, dall’ altro l’ anno subordinato a nuove ragione d’ essere che spesso esulano da quelle che dovrebbero regolare il sorgere e il divenire dell’ opera d’ arte.
Se osserviamo, infatti, i rapporti che si sono venuti instituendo tra disegno industriale, design e scultura, potremo facilmente renderci conto che tali rapporti hanno subito tre fasi distinte: una prima fase – quella, tanto per intenderci, corrispondente alla prima rivoluzione industriale ( all’ architettura ingegneristica dell’ ottocento ) -, in cui le opere tecniche e meccaniche ( ivi compresi i grandi ponti metallici, le prime macchine a vapore, le prime macchine tessili, e da scrivere ) venivano considerate del tutto distinte dalle ” arti belle ” e, tutt’ al più si tentava talvolta di ” mascherare ” la macchina con l’ aggiunta d’ un fregio o d’ un ornato o con l’ inclusione di elementi decorativi ( capitelli, colonnine… ) entro il corpo del meccanismo.
A questa fase fece seguito quella dell’ art nouveau che cercò di creare oggetti e architetture che, pur valendosi della lavorazione meccanica, avessero anche un quoziente artistico; e in quest’ epoca si realizzarono alcune importanti opere che dovevano essere rivalutate soprattutto ai nostri giorni.
A questa fase subentrò quella bauhausiana e neoplasicista durante la quale venne prendendo forza la convinzione che l’ oggetto industriale ( e l’ architettura creata coi nuovi materiali ) dovessero essere del tutto sottomessi al binomio utilità-bellezza; e fu allora che si verificarono i noti casi di analogie ” stilistiche ” tra alcune pitture ( Mondrian, Van Doesburgh, Malevic ), alcune sculture ( Arp, Pevsner, Gabo ), e gli oggetti industrialmente prodotti ( mobili di Rietveld, di Le Corbusier, di Mies, di Breuer ).